“Tu di pizza non ne capisci niente!”, mi mandano a dire almeno una volta a settimana. È l’amico che detesta la mia pizzeria preferita, o il parente che nutre attrazione solo per quell’irresistibile capricciosa sotto casa; ma ancor più il lettore, deluso, a cui non è piaciuta la pizza che gli avevo consigliato con una pagella dai voti altissimi. Come è potuto succedere? Il dibattito, con lo sbocciare di pizzerie praticamente ad ogni angolo, si è spostato molto sul tema del gusto. Blogger, giornalisti e influencer strepitano quotidianamente, ma le persone – non dimentichiamolo – continuano ad orientare le proprie scelte alimentari in virtù di una serie di fattori culturali, ambientali, fisiologici e nutrizionali.
Il tema è quanto mai attuale visto il piccolo, significativo cambiamento a cui stiamo assistendo: la caduta della forza incantatrice degli slogan. Sta svanendo, cioè, l’effetto soggiogante delle vetrofanie. Alle persone importa che la pizza piaccia, a prescindere da quanto sia storica, blasonata, pluripremiata o prodotta con favolose farine macinate a pietra. E, diciamola tutta, indipendentemente da quanto sia stata incensata dal blogger di turno. Il caso più emblematico? L’apertura di Michele a Milano, seguita dal formarsi di uno stuolo di detrattori che è sceso letteralmente in piazza – su Facebook e su Instagram – per lamentarsi, con un accanimento mai visto prima. Volendo mettere a fattor comune tutto ciò che ho letto in questi giorni, credo che il succo del ragionamento dei delusissimi haters possa riassumersi così: “pensavo mi piacesse la pizza napoletana; ma se questa di Michele è LA pizza napoletana per eccellenza allora la pizza napoletana non mi piace“.
Culturalmente, invece, questa apertura è una svolta importante: la verace napoletana, così come proposta nel locale, diventa quasi l’espressione di una pizza “vecchia” il cui archetipo Milano pensava di aver superato, e con cui adesso invece dovrà imparare a relazionarsi. La pizza di Michele, con il suo fiammeggiante carico di storia e autorevolezza, sospende ad un tratto quel processo interpretativo della pizza 2.0 che da almeno un paio d’anni aveva rappresentato il carburante per l’apertura di molte delle più famose e apprezzate pizzerie della città.
E quindi mi chiedo: e se la pizza napoletana non fosse ancora del tutto compresa? Si può fare qualcosa per “digerire” meglio e più consapevolmente una pizza?
Sì, si può. Il gusto può essere educato.
Per cominciare, qualsiasi appassionato o amante della pizza che si dichiari tale dovrebbe procurarsi quelle due o tre informazioni in croce che gli svelino limpidamente e una volta per tutte la complessità di uno dei piatti più poveri e affascinanti della Terra. La pizza napoletana, in particolare, è oggi una combinazione scientifica di elementi la cui perfetta alchimia è spesso sottovalutata proprio da chi la mangia. Per due ragioni:
- Popolarità. In fondo, “tutti sanno fare la pizza”. La si può fare e mangiare ovunque e a qualsiasi latitudine, quindi, come pensano molti: “che sarà mai?“
- Sovrabbondanza. Noi napoletani raccontiamo fino allo svenimento l’unicità di questo prodotto. E forse spesso esageriamo, stancando gli altri.
Tuttavia, la pizza napoletana è l’output secolare di una tradizione artigiana unica, patrimonio intangibile di usi, costumi e procedure di preparazione che la distinguono da tutte le altre pizze al mondo. Chi è di Napoli e dintorni lo sa bene e ha il palato ormai assuefatto: il nostro DNA è progettato per recepire le stimolazioni sensoriali di un impasto ed elaborarle in un attimo. Ma non è così per tutti.
Prima di lanciarvi in un imbarazzante atto d’accusa nei confronti del ristoratore, reo di non avervi fatto la pizza che speravate di mangiare, tenete ben presenti almeno due dei pilastri formali della pizza napoletana.
L’assenza di croccantezza
Lo dirò finché avrò voce: la pizza napoletana non è croccante e non lo sarà mai. Non vi agitate con il pizzaiolo, da questo punto di vista non l’avrete mai vinta. Chiamatela gonfia, morbida, soffice, elastica o persino “gommosa” (l’aggettivo preferito di chi ha mangiato crackers per una vita intera): se cercate qualcosa da spezzare con le mani e che esploda sonoramente in bocca in una sinfonia di pezzettini, non dovreste entrare in una pizzeria napoletana.

La cottura in un minuto
Uno dei motivi per cui la pizza napoletana non è croccante è proprio la cottura. La pizza napoletana è, infatti, l’unico prodotto da forno al mondo che cuoce ad almeno 450° per poco più di un minuto. Se cotta a regola d’arte, la pizza napoletana difficilmente può risultare cruda. Tuttavia una disattenzione può influire. Questo tipo di pizza non si chiude mica in una bara orizzontale controllata da un computer. La cottura è presidiata continuamente dal fornaio, mestierante di antica tradizione le cui competenze in termini di manualità ed esperienza incidono sul risultato finale. La pizza viene posizionata, girata, sollevata, girata ancora una volta e poi fatta scivolare nel piatto. Come recita il Disciplinare: il pizzaiolo deve controllare la cottura della pizza sollevandone un lembo, con l’aiuto di una pala metallica e ruotando la pizza verso il fuoco, utilizzando sempre la stessa zona di platea iniziale per evitare che la pizza possa bruciarsi a causa di due differenti temperature. È importante che la pizza venga cotta in maniera uniforme su tutta la sua circonferenza. Vedete quanto ci stiamo attenti?


Assenza di croccantezza e metodo di cottura. Due fondamentali tecnici la cui comprensione può essere importante per “capire” la pizza napoletana. Due caratteristiche foriere di aspettative sbagliate che si traducono in delusioni insensate (“cameriere, la mia pizza è molle e non è croccante, può cuocerla un altro po’?“).
Certo, molto dipende dalla pizza. Com’è fatta, quanta cura si è spesa per prepararla, quanta passione si è profusa per sfornarla. Ma perché l’esperienza sia la migliore possibile, qualcosa dipende anche da voi.
- Stimolate la crescita del gusto: ok, avete la vostra pizzeria preferita, ma non fermatevi qui. Allargate gli orizzonti, provatene altre anche lontano da casa, rischiate.
- Tornate almeno un’altra volta nella pizzeria che vi ha deluso. A meno di clamorosi bluff, una serata storta (o addirittura una sola pizza sbagliata) capita a tutti.
- Informatevi, leggete, comunicate con gli altri. Parlatene con gli amici, con chi è più appassionato di voi. Fatevi delle domande, non limitatevi a giudicare. Per quanto la pizza possa essere il piatto più popolare della Terra, il vostro giudizio non deve limitarsi ad essere puro arbitrio soggettivo.
- Non arrabbiatevi se il pizzaiolo non vi permette variazioni: a meno che non siate allergici o intolleranti, dovete rispettare tout court la proposta gastronomica, soprattutto in quelle pizzerie in cui la carta delle pizze ne conta al massimo dieci. Sono tutte studiate per offrirvi la migliore gratificazione sensoriale possibile, quindi perché chiedere di sostituire il prosciutto crudo con la mortadella?
- Sollevate un lembo e verificate la cottura. Questa in foto è una pizza cotta a regola d’arte, memorizzatela.
Il fondo di una pizza ben cotto. (foto: Campania Terra Laboris) - Se scorgete un pezzo consistente di “bordo” (meglio chiamarlo cornicione, ok?) carbonizzato, fatelo presente: è vostro diritto mangiare una pizza ben cotta. Ma non gridate allo scandalo se vedete una singola bolla bruciacchiata o un centinaio di puntini scuri sul cornicione. Se gli idrocarburi vi allarmano per partito preso, pensate alle 20 sigarette che fumate o all’aria che respirate ogni giorno.
- Vi sentite appesantiti? Non date necessariamente colpa alla pizza napoletana se l’avete accompagnata con 2 pinte di birra, un tiramisù e un paio di limoncelli. La digeribilità di una pizza è un argomento molto complesso e, in alcuni casi, soggettivo. Ne ho parlato qui.
In definitiva, appassionatevi alla storia della pizza, apprezzatene le antiche gestualità, interessatevi ai rituali, alle procedure, ai segreti. Capitene l’artigianalità. Non esiste una pizza uguale all’altra, non pretendete serialità. Scoprite le generazioni di appassionati che da oltre un secolo fanno questo mestiere. La pizza napoletana è lì da cento anni, e sembra dire: “non posso piacere a tutti. Non tutti hanno buon gusto”. Fatela vostra.