L'”effetto crunch” è una delle tante rapine che il lessico gastronomico ha ordito ai danni di tutt’altro contesto, quello musicale: tra chitarristi storici e suonatori dell’ultima ora, il crunch è una ricercatissima modulazione sonora che musicisti d’ogni età tentano strenuamente di riprodurre regolando potenziometri e azionando leve e levette, in un mix assai costoso di tecnica e tecnologia. Quando, finalmente, ci riescono, ottengono un inconfondibile suono tagliente e aggressivo, elegantemente distorto, perfetto per il blues di un certo livello.
Nell’affascinante e sempre più variegato universo della #pizzanapoletana, il crunch è severamente bandito dal centenario culto fatto di regole scritte e non scritte: il Disciplinare dell’AVPN descrive inequivocabilmente la pizza come morbida e così, negli anni, milioni di aspiranti pizzaioli di tutto il mondo hanno tentato strenuamente di riprodurre l’effetto contrario al crunch, regolando il proprio impasto fino a ottenere l’obiettivo massimo: l’assenza di suono.
Crocca segue uno spartito diverso: tagliente e battagliera, bella ed elegante, la pizza di Michele Ferrara restituisce quella nota croccante, quello strepitio aggraziato, quella sensazione di presenza nel morso che oggi a Milano manca e che molto probabilmente sarà il trend dei prossimi anni.
Musicisti e pizzaioli con l’effetto crunch: è il momento del blues di un certo livello.